CAPRANTE

Alla scoperta del piccolo borgo di Caprante – Una dolce gita fuoriporta per famiglie alla scoperta di piccoli “paradisi” e dei sentieri per il lago.
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Percorso Oratorio di San Rocco > Reginata > Caprante > Madonna della Valle > Oratorio di San Rocco
Lunghezza del percorso km 3,680
Dislivello massimo 163 mt in salita
162 mt in discesa
Difficoltà sentiero escursionistico facile – classe T
(escursione Trekking turistica)
Tempo medio complessivo di percorrenza 1 h
Abbigliamento usuale per le normali escursioni in montagna (scarponcini, maglione, giacca a vento, bastone/racchetta ecc.).
Interesse naturalistico dell’escursione Questo itinerario è in generale in ombra e fresco, molto panoramico in alcuni punti, permette di vedere il lago fino alla sua estremità nord con la catena montuosa a ridosso di Sondrio. Percorso verso il tramonto, dà la possibilità di incontrare la fauna tipica dell’habitat boschivo di queste zone: i mammiferi, gli uccelli ed anche i rapaci, mentre nella stagione propizia si possono trovare anche dei funghi.
Percorso
effettuato il
Maggio 2016
N.B.:  descrizioni riportate e le fotografie rappresentano lo stato del percorso al momento in cui l’escursione è stata effettuata. Vista quindi la natura mutevole della montagna e delle condizioni atmosferiche vi raccomandiamo di verificare preventivamente lo stato e la percorribilità degli itinerari. Non ci assumiamo nessuna responsabilità per eventuali incidenti avvenuti percorrendo un itinerario da noi proposto

Scendendo lungo la sponda orientale, che sostiene il fondo vallivo della Valbrona prima che si tuffi nel Lario, il territorio degrada con grandi pianori solivi. Nell’itinerario ad anello che vi stiamo descrivendo si attraversano diverse località, le due più rinomate sono: la Reginata e Caprante. La prima inizia appena lasciato il paese, poco oltre l’Oratorio dedicato a San Rocco (che si costeggia prendendo la strada asfaltata a destra rispetto alla facciata), dopo 50 metri si arriva ad una piccola area relax dove è possibile tramite una “veduva” dissetarsi con la fresca e pura acqua della Valbrona. Nei paraggi si trova la Cappella dedicata a Sant’Agata.

 

Davanti a voi si aprono tre vie. A sx. si va verso il Santuario della Madonna della Febbre o della Valle. A dx. si prende la carrozzabile verso Alpe di Oneda, ma questo itinerario prosegue dritto (foto sotto) sulla sponda destra del torrente Caprante. Davanti al vostro sguardo la maestosità del Gruppo delle Grigne con, a sx. la Grigna Settentrionale detta anche Grignone, a dx. la Grigna Meridionale o Grignetta. Si percorre tutta la via Reginata sino alla fine della strada asfaltata proseguendo anche quando il tracciato diventa sterrato. Pochi metri ancora e si giunge in località “Reginada” con una bella Edicola dedicata alla Madonna e completata con due sedute in granito. Questo luogo era fra le mete preferite dei bambini grazie allo scivolo di sasso, il quale veniva incerato con i fondi dei lumini che copiosi si trovavano disponibili sull’altare della cappelletta, per renderlo più sdrucciolevole. Gli stretti canali in cui si scendeva diventavano lucidi e scuri come l’alabastro. Ancora oggi qualcuno azzarda una discesa che risulta però difficile a causa di un’ovvia scarsa frequentazione.

Si prosegue sul sentiero locale n° 3 e dopo pochi metri si apre la vista sul torrente Posallo e su di una zona denominata in vernacolo “Paradis di asan”. In questa località si portavano gli animali nel periodo di caldo torrido in estate per assaporare un po’ di refrigerio. L’acqua sempre fresca e cristallina dava pure modo agli asinelli di dissetarsi. Si prosegue con un occhio ai bordi della strada dove crescono (in base al periodo) molte erbe spontanee, ad esempio degli ottimi asparagi selvatici. (foto qui sotto) Ancora un tratto e al palo segnaletico indicante il bivio per Le Cascine, proseguire diritto.

Questo itinerario è sostenuto da

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Lo sterrato assume le caratteristiche di una semplice mulattiera che in leggera discesa e superato un tratto su ceppo, si apre su grandi prati che ci avvolgono nel fragore delle cicale. Qui diverse costruzioni, alcune risistemate, sono la testimonianza di epoche in cui era normale inoltrarsi per questi sentieri per raggiungere i propri possedimenti e dedicarsi ad attività agro-silvo-pastorali. Oggi la maggior parte dei proprietari si limita alla fienagione o a destinare in rotazione alcune porzioni dei propri prati a pascoli che ospitano prevalentemente asini ed in numero assolutamente esiguo. S’incontra un primo casolare abbandonato ed adibito a ricovero per il fieno. Seguendo l’indicazione della freccia segnaletica dopo poco si apre il panorama sul Gruppo delle Grigne: a sinistra la Grigna, detta anche Grignone o Grigna settentrionale il cui punto più alto misura 2410 m. e a destra la Grignetta, oppure Grigna meridionale con il suo punto più alto a 2177 m.

La natura crea e trasforma senza pausa (foto 1 sotto) anche lungo il sentiero che prosegue in leggera discesa su fondo in buono stato. Ovunque si possono cogliere delle bellezze naturali:  con un po’ di fantasia si può vedere in una roccia la sagoma di un incudine di pietra, mentre sulla destra rispetto alla direzione di marcia si scorge un casolare ristrutturato .

Si scende ancora e superato un altro tratto su ceppo (più timido del primo) il sentiero prosegue in mezzo al bosco di latifoglie, tra cui spiccano castagni secolari, frassini, querce e carpini, ma anche piante di nocciole, di noci, di nespole e di sambuco. Costeggiando una serie di muretti a secco si passa davanti ai campi di Paintball, un’area ludico ricreativa dove si gioca a fare la guerra sparandosi addosso proiettili di vernice (i cartelli ci rassicurano che la battaglia è solo un gioco e viene esercitato nel rispetto dell’ambiente, in osservanza alle prescrizioni di legge in tema di ecologia). Un cartello in legno mostra i possibili itinerari, sulla destra (ultima foto) vi è l’accesso per la Valle delle Garavine, mentre voi vi trovate in località “Camp di Spin”.

Proseguendo oltre e superata la piccola casetta confinante, la Reginata lascia la scena alla località Prato Castello. La mulattiera (sempre segnavia sentiero locale 3) qui inerbata, scende tagliando in costa tra due recinzioni e presentando un susseguirsi di prati incastonati in un meraviglioso panorama. Due costruzioni: una grande cascina adagiata su un piano che corre fino a noi delimitato da un esemplare terrazzamento e una casetta svettante dagli affioramenti rocciosi di un piccolo poggio. Quest’ultima costruita proprio sulla roccia sembra ben interpretare il toponimo. Infatti se venne mai eretto in questo luogo un castello la sua torre non poteva svettare che qui, al posto di questa preziosa costruzione in sasso. Lasciandoci all’immaginazione risulta un gioco da ragazzi scrutare l’orizzonte difendendo la valle da ingressi indesiderati provenienti dal lago. Di Prato Castello non si hanno notizie sicure; ricerche e studi suppongono che fosse un presidio di controllo della via di accesso alla Valbrona da Riva Liscione. Dobbiamo ricordare che Valbrona non era raggiungibile dal Lario se non inoltrandosi a piedi per la scarpata di Riva Liscione o dall’attiguo Ceppo Palazzolo e i due punti più abbordabili erano lungo la forra del Torrente Caprante e per le costolature della scarpata di Riva Liscione. Entrambe i punti erano e sono tutt’ora impervi inoltre se il primo era ben sorvegliabile da Prato Castello, il secondo avrebbe condotto un eventuale assalto proprio in bocca all’ipotetico castello. Gli indizi noti non ci dicono con certezza assoluta che qui vi fosse un castello. È un dato probabile; lasciamo l’interpretazione del toponimo a chi non passa e va ma come noi si ferma e osserva.
Di lato una panca invita a sedersi e godere del panorama con gli immancabili massi erratici che ricoprono la zona con la vista che si allarga ulteriormente e permette, quando il cielo è terso, di vedere il lago fino alla sua punta più a nord, incorniciato dalle montagne.

I ghiacciai quaternari, che a più riprese durante il Pleistocene invasero la zona, hanno modellato il territorio con intensi processi di erosione, e, a loro ritiro, hanno abbandonato singoli blocchi rocciosi o cumuli di detriti rocciosi da loro trasportati, dando origine rispettivamente, ai massi erratici (o trovanti) e ai depositi morenici, di cui è ricca questa zona.

Proseguire seguendo il sentiero verso il casolare sullo sfondo (foto 3 sotto) con la raccomandazione di non abbandonarlo ( sia a destra che a sinistra i terreni hanno dei proprietari) osservando le diverse fioriture spontanee tra cui il timo selvatico, la salvia selvatica e l’erba cipollina. Notare nei dintorni il cambiamento della vegetazione dovuto alla presenza di un clima più mite per la vicinanza del lago (coltivazione di ulivi e alberi da frutto). In corrispondenza dell’alto casolare, da poco ristrutturato, il sentiero locale n° 3 devia a sinistra, passa proprio sotto ad una pianta dalla forma caratteristica e in breve si fa viottolo tra prati, frutteti, coltivi e orti che ci danno il benvenuto a Caprante.

Qui appare la Punta Spartivento di Bellagio (foto 1 sotto). Questo è il punto esatto dove il Lago di Como si divide nei due Rami di Como e di Lecco che è quello in evidenza. Qui soffiano i Venti tipici del lago. Proseguendo si raggiunge il borgo di Caprante, ovvia è l’allusione ad un luogo di capre e ci pare sensato che abitanti, signori e fattori che vivevano in questa felice località dirigessero i propri greggi  dal limitare dei prati nel fitto della la scarpata che scende verso il lago; un luogo ideale per la capra che tenuta distante da prati e coltivi contribuiva a tenere bassa la vegetazione spontanea dei boschi. Questi animali a Caprante concorrevano al sostentamento familiare: latte, formaggi e carne il tutto ritmato da un equilibrio ormai scomparso, ma la zona non riponeva solo nell’allevamento ovi-caprino la propria ricchezza; coltivi, orti e frutteti qui godendo dell’influenza di un clima eccezionalmente favorevole grazie alla posizione soliva e alla vicinanza del lago erano una benedizione. L’estate di Caprante iniziava prima e finiva più tardi consentendo un maggiore sfruttamento del terreno. Negli orti si concentravano mono-culture a rotazione a beneficio di varietà e quantità. Il terreno era talmente fertile che semenze occasionalmente cadute in aree non preparate arrivavano comunque a raccolto. Dobbiamo immaginare orti in pieno campo attivi tutto l’anno: in primavera, estate, autunno e inverno davano abbondantemente i loro prodotti.

Scendendo da Pra Castello, sulla sinistra sono visibili alcuni appezzamenti impiegati per l’orticultura. Oggi somigliano a delle radure ricavate nel fitto del bosco ma un tempo non cera alcun bosco tra gli orti e a delimitarne i confini spiccavano ciliegi, amareni, peri, e noci. Albicocche e pesche si unirono a questi nelle piane più a valle oltre il più grande casolare di Caprante che molto probabilmente fu anche Convento. Le costruzioni in sasso raccontano di una vita scandita dalle attività all’aperto. Locali familiari piccoli, spartani, aderenti come la maglia di lana ma, accoglienti, confinano con ambienti più grandi dove si immagazzinavano i raccolti e si procedeva ad ulteriori fasi di lavorazione dei prodotti. L’architettura contadina guardava all’essenziale e il nostro sentiero attraversando il nucleo principale ci mostra anche elementi più attuali, come la bella veranda con barbecue della casetta alla nostra destra, voluti per rendere più confortevoli i soggiorni di chi oggi è qui in villeggiatura. La zona si suddivideva in Caprante Basso e Caprante Alto che si localizza con le prime costruzioni adiacenti alla strada provinciale che scende alla frazione Onno di Oliveto Lario e si estende fino al bordo del torrente Caprante. Dalle suddette costruzioni in direzione del torrente Caprante è tutto un susseguirsi di terreni dove sono ancora visibili frutteti di estensioni variabili ma anche campi (oggi d’erba) che una volta ospitavano coltivazioni di frumento, granoturco, segale e patate. La mulattiera (la prenderemo al ritorno) che arriva dalla chiesetta della Madonna della Valle, ad un certo punto deviava, da una parte, per accedere a Caprante Basso e, dall’altra, per raggiungere quello Alto. Da entrambe le località era poi possibile procedere fino a Riva Liscione per due sentieri differenti (gli attuali sentieri local1 1a e 1b). A Caprante Alto e più precisamente in Località Ceppo Palazzolo il sentiero (oggi sentiero locale 1a) serpeggiava verso il lago accanto alle cave di estrazione della rinomata sabbia gialla impiegata per la produzione del cemento rapido. Il nostro sentiero locale 3 termina raggiungendo Caprante Basso dove si snoda tra alcune abitazioni e superato un fontanone/lavatoio situato nel bel prato ricco di alberature da frutta e ulivi (questi ultimi di recente piantumazione) prosegue, tutto a sinistra, finendo nella carrareccia sterrata (sentiero locale 1). Qui prima di imboccarla a sinistra, vi consigliamo di scendere a destra fino a raggiungere il grande casolare per osservare più da vicino quest’antica struttura (ipotetico ex Convento), la grande fontana.
E’ possibile deviando verso destra (foto 1 sotto) e prendendo il sentiero costeggiato da uno steccato di legno, scendere al lago (località Liscione) sul territorio di Valbrona. La spiaggia è attrezzata ci sono un bar ed un ristorante. Bisogna tener presente però che questo sentiero è stretto, ripido e più impegnativo. Da qui seguendo l’indicazione Valbrona si riprende a sinistra la via del ritorno (foto 3 sotto) con il sentiero locale n° 1. Dopo un centinaio di metri dal borgo abitato di Caprante, si raggiunge un ponte romanico .

E’ il ponte in sassi di Caprante, dove scorre tranquillo il limpido corso d’acqua del Torrente di Caprante. Il borgo è ormai alle spalle ma ci ha raccontato, con la sua storia e la sua posizione privilegiata (grazie ad un clima felice non solo perché collocata più in basso di Valbrona con suoi 373 m. di quota), di non essere mai stata una località amena e isolata, povera e incolta. Nei primi del novecento qui risiedevano otto famiglie per complessive 36 anime e vivevano dei prodotti della terra potendo incrementare il loro commercio grazie al continuo passaggio dei Valligiani e dei lavoratori delle cave e di alcune fabbriche rinomate del lecchese (come la Moto Guzzi).
Da qui la strada inizia a salire (foto 4 sotto) però da questo momento si è accompagnati dal cinguettio degli uccelli ed è divertente dilettarsi a distinguerli.

Risaliamo costeggiando il torrente fino a quando sul bordo sinistro della carrareccia appare la Madonna del Sasso, un dipinto recente; un segno di devozione voluto da alcuni proprietari quale ringraziamento alla Vergine per aver protetto le loro case e le loro vite da una frana che qui terminò la sua corsa. Si prosegue  sulla mulattiera fino ad una roccia che rappresenta una testa leonina che sbuca da dietro il masso ricoperto da muschio. Nel proseguire si nota in basso a destra un classico “Funtanin“.

Di lato alla mulattiera e seguendo il corso dell’acqua si possono scoprire degli incanti naturali. Due pozze d’acqua in successione. La prima è la più grande e più profonda (o almeno lo era) denominata appunto “Cùldera” ovvero Caldaia, utilizzata nelle generazioni passate per puro divertimento ed anche per lavarsi nel vero senso della parola.

Poche decine di metri risalendo il torrente e si arriva alla “Cùldereta” (Caldaietta, ovvero più piccola) un luogo dal quale non vorresti mai separarti. Un bagnasciuga naturale formato da rocce sedimentarie altrimenti dette “Marne” con un’unica colonna sonora: lo scorrere dell’acqua (cristallina e decisamente fresca) ed il canto degli uccelli sulle piante che circondano il posto.

Da qui in poi quella che era un carrareccia torna alle sue origini di mulattiera e se nella prima parte sono i Carpini Bianchi a stupirci con le loro sinuose e dolomitiche cortecce, più avanti incontriamo Celtis Australis (Bagolari o Furich), Carpino Nero e, avvicinandosi sempre più ai prati, pesanti Frassini ed eleganti Maggiociondoli ad interrompere lunghe bordure di Noccioli. Eccoci nel regno delle erbe di campo, delle fragoline e delle more ciascuna protagonista al suo momento. D’autunno diversi esemplari di Noce Nero, originario degli Stati Uniti centrali e orientali, lasciano cadere al suolo i loro insoliti frutti per altro di alto valore quanto il loro legno. Nel primo tratto all’aperto appare il Gruppo dei Corni di Canzo. Si nota la fessura nella roccia sopra la quale c’è il Passo della Vacca. Da sinistra verso destra:  il Corno Orientale 1232 m.,  il Corno Centrale 1368 m., ed il Corno Occidentale 1373 m. Proseguendo il cammino si scorgono i casolari della “Selvascia” mentre alle spalle fanno bella mostra di se, le Grigne. Nel grande fienile distaccato dalla cascina il fattore ripone la fienagione alla vecchia maniera senza imballare e lasciandolo a prendere aria su tutti e quattro i lati. Anche la razione giornaliera viene prelevata come nessuno più fa, ovvero, con l’ausilio del tagliafieno (un attrezzo che calcato con il piede taglia a fette verticali l’intero covone).

Sull’altro versante, tranquilli asinelli pascolano liberamente mentre nei prati ancora da falciare si può ammirare (senza abbandonare il sentiero in quanto sfocia in una proprietà privata) una sorgente d’acqua denominata: “Funtanin di Salvasc”.

La risalita, per il sentiero locale 1, è ormai giunta al termine un paio di curve e il nuovo terrazzamento del podere  della villa nota ai valbronesi come “il castello” si presenta alla nostra destra. Ma davanti a noi c’è dell’altro: oltre il granito, su cui è incisa direzione e lunghezza della mulattiera da cui proveniamo e che anticamente era la principale via per Riva Liscione (sentiero locale 1 più le varianti sentiero locale 1a e 1b), si entra, dal piccolo sagrato con portico nell’aurea dell’architettura discreta ed elegante del Santuario dedicato alla Madonna della Febbre, conosciuta anche come “Madonna della Valle” dove si recava spesso a pregare Achille Ratti, colui che sarebbe divenuto in seguito Papa Pio XI, ogni qual volta era ospite dello zio don Damiano Ratti, allora prevosto di Asso.
Oltre il fiabesco ponticello sul torrente “di Campei” svetta “il Castello” con la sua vigna.

 

Nell’ultimo tratto si può ammirare il secolare castagno della Madonna della Valle. Il giro si conclude avendo raggiunto il punto da cui si è partiti: l’oratorio di San Rocco, prima di raggiungere il quale è possibile una sosta rigeneratrice nell’apposita area attrezzata.